NESSUNA
QUESTIONE MORALE NEL PD
La “questione morale” che sta investendo il Pd è
spesso trattata come un fenomeno di origine sconosciuta. Mentre un tempo i
politici di sinistra erano onesti e incorruttibili improvvisamente si sarebbero
messi tutti a rubare. Per conseguenza, prima la magistratura non li toccava
perché erano modelli di virtù, ora è costretta a stangarli come meritano. Quadro realistico? Per niente.
Natura non facit saltus, diceva Linneo. Non è
possibile che un grande gruppo di persone sia tutto onesto o tutto disonesto, e
neppure che cambi con un saltus. È verosimile che, a destra come a sinistra, ci
siano politici onesti e politici disonesti, e non può esistere dunque una
specifica e nuova questione morale che riguardi solo il Pd.
Questo dice la ragionevolezza. Purtroppo, non è quello
che hanno detto il Pci, il Pds, l’Ulivo, l’Unione, il Pd e tutti i partiti di
sinistra. Per decenni essi hanno insistito sul punto che gli altri erano
cattivi e loro buoni, gli altri immorali e loro morali. L’idea che si possa
sottoporre a condanna giuridico-morale un
intero gruppo politico ha il marchio inconfondibile della sinistra. Essa ha a
lungo creduto di poterne approfittare. E se oggi questa tesi certamente assurda
le si ritorce contro, non può protestare: è la sua idea.
Rimane solo da spiegare come mai mentre prima i
magistrati, dopo avere eliminato la
Dc e il Psi, colpivano solo a destra, improvvisamente si
siano accorti che esistono dei “mariuoli” anche a sinistra. Maria Paola Merloni, ministro ombra del Pd, sostiene:
“Secondo me dietro tutte queste inchieste giudiziarie che riguardano il Pd c'è
Antonio Di Pietro, che peraltro è l'unico che ci guadagna. Forse la
magistratura ha scelto il suo partito come il nuovo referente”. Vero, non vero?
Non è quello che importa. Interessante è il riconoscimento che i giudici hanno
avuto un partito di riferimento, cosa che a sinistra ci si era affannati a
negare per decenni.
Che i giudici danneggino il maggiore partito di centro-sinistra,
non potrebbe, in linea teorica, che fare piacere a chi non vota per quella
coalizione. Ma poiché è orribile che si cerchi di vincere gettando in galera
l’avversario, se pure per interposta toga, la conclusione da trarre è di genere
diverso.
Non
è ammissibile che la politica sia determinata dalla magistratura. Questo ordine
non è espressione del popolo e il suo potere non deriva da esso. Ogni suo
intervento in politica non solo non è democratico, è addirittura eversivo. È
contrario alla divisione dei poteri e ai principi fondamentali dello Stato. L’immunità
parlamentare, che si è fatto l’errore di abolire, nasceva dall’esigenza di
impedire certi straripamenti. L’imperdonabile errore commesso dalla sinistra
per tanti anni, nel non capire la ratio di quella norma, è stato il frutto di un
egoismo gretto e miope. Chi a suo tempo lanciò la diversità morale non sapeva
di innescare una bomba a tempo. Il “partito degli onesti”, giacobini ingenui ma
pericolosi come i dipietristi, deve naturalmente fare parte del folklore. La
politica è una cosa troppo seria per lasciarla ai moralisti.
Oggi
sarebbe il momento ideale perché tutti i partiti capiscano che bisogna rimettere
i magistrati requirenti al loro posto, adottando serissimi provvedimenti
disciplinari a carico di chi, prima, avrebbe dovuto indagare sui disonesti (anche
di sinistra) e non l’ha fatto, e su chi oggi sta indagando e magari gettando in
galera politici su cui non grava nessun serio sospetto. Solo perché la moda è
diventata quella di dare addosso al Pd.
Coloro
che hanno così a lungo invocato l’intervento dei magistrati per combattere il
malaffare della fazione avversa dovrebbero capire che il malaffare in quanto
tale non è caratteristico di nessuno e che l’intervento dei magistrati non è neutrale.
Se il popolo delega la politica ai giudici, rinuncia al suo proprio potere,
cioè alla democrazia.
Gianni
Pardo, giannipardo@libero.it
17
dicembre 2008