“I COPIONI”
Al
recente concorso per magistrati, in quel di Milano, è scoppiato un putiferio perché
parecchi candidati avevano codici commentati, appunti e altri testi da cui
copiare. Per non parlare di alcuni commissari compiacenti. Tutto questo in
misura così vasta da provocare molte denunce e, infine, da far scoppiare uno
scandalo.
Nel
linguaggio familiare i “copioni” non sono i testi degli spettacoli ma coloro
che copiano il tema o il compito di matematica. Non si può arrivare a chiamarli
“un’istituzione”, in Italia, perché sono tutt’altro che dei modelli, ma sono
sempre esistiti e fanno parte del paesaggio. Nessuno ha timore di confessare di
avere fatto il furbo, a scuola. Molti addirittura si vantano degli stratagemmi
utilizzati. Se per stabilire che cosa è morale e che cosa non lo è ci si
attiene ai mores, in Italia copiare non è immorale. L’unica cosa che si biasima
con qualche severità è il comportamento di quella carogna che “non passa la
copia”.
A
questi atteggiamenti concreti, accettati come ovvi, si contrappone naturalmente
la morale idealistica. Il docente (che magari ha ottenuto il posto copiando il
compito), parla di dovere, di onestà, di virtù a livelli eroici (Attilio
Regolo!) e i ragazzi imparano che nella vita bisogna riempirsi la bocca di belle
cose. Solo per la facciata. In realtà, nulla incide sul sacrosanto diritto di
fare il proprio interesse; e che questo interesse sia conforme o contrario alle
leggi non ha nessuna importanza. La doppia morale da noi comincia con i calzoni
corti.
Il
fenomeno ha anche un altro aspetto. Forse perché i professori di lettere hanno
a suo tempo copiato il compito di matematica, forse perché i professori di
matematica a suo tempo hanno copiato il compito di latino, anche dal lato della
cattedra c’è una sorta di benevolenza, per questi illeciti. Chi è sorpreso a barare
se la cava con un rimprovero, forse con una diminuzione di voto, di sicuro non
è squalificato: in fondo è uno come gli altri. Uno che si è lasciato scoprire.
Tutto
questo, coniugato con l’eccessiva tenerezza che in Italia si ha nei confronti
dei giovanissimi (i nostri bambini sono i più rumorosi e viziati d’Europa), fa
sì che la scuola italiana sia una scuola d’ipocrisia. Le regole non sono
inflessibili. Se un vigile urbano osasse elevare contravvenzione al sindaco, ne
parlerebbero tutti i giornali. Attribuivano ai Borboni di Napoli un motto
amarissimo: “agli amici tutto, ai nemici la legge”: ma è un motto che fotografa
tutta l’Italia. Con questo condizionamento, perché stupirsi se al concorso per
divenire magistrati molti hanno fatto come al solito, fino ad arrivare
all’attuale scandalo nazionale?
Il
ministro Alfano ha detto che ci vuole un provvedimento che impedisca a chi ha
tentato di copiare di partecipare in futuro a qualunque concorso per divenire
magistrato. Forse in questo modo punirà qualcuno ma non eliminerà certo la
cattiva abitudine. Bisognerebbe cambiare mentalità, cominciando dalle scuole
elementari. Bisognerebbe, alle scuole medie, trattare il furbo da disonesto e alle
scuole superiori bisognerebbe essere ancora più severi. Che speranze ci sono,
in questo senso? Nessuna. Fra l’altro, tutti gli alunni hanno un padre e una
madre pronti a difenderli. In ogni caso. Se necessario dinanzi al Tar, spalleggiati
da giornali con la lacrimuccia preconfezionata e pronti a scrivere un corsivo
irridente.
Se
li avessimo interrogati, i candidati al concorso ci avrebbero detto che essi
baravano perché erano lì da studenti, non da magistrati. Avevano dunque il
normale diritto di copiare. Poi, certo, una volta divenuti giudici, avrebbero
applicato la legge severissimamente.
Agli
altri.
Gianni
Pardo, giannipardo@libero.it
30
novembre 2008
Comunico agli interessati che da oggi WWW.CAPPERI.NET ha ripreso le pubblicazioni.
| inviato da
giannipardo il 30/11/2008 alle 18:36 | |